I colori delle forme pure
A partire dai Bifacciali solutreani, la ricerca dello scultore è una riscoperta archeologica della sapienza e dell’evoluzione tecnologica dell’uomo. La cura con cui si compiva la sbozzatura della selce, i famosi ciottoli scheggiati su una o due facce (choppers e chopper-tools), è il frutto di una vera e propria “industria” messa in atto dall’uomo primitivo. Nel suo tentativo di trasformare la pietra in utensile rudimentale, Mondino vede la prima inscindibile endiade, agli albori della storia antropologica, tra i valori di funzionalità e quelli di valenza estetica. La modellazione dei choppers svela la simmetria delle forme, in un manufatto apposto in punta di bastone divenuto una lancia la cui lama ha una conchiusa e perfetta morfologia. Sulla materia dei Bifacciali solutreani, forse modellata a partire da suggestioni provenienti dal mondo vegetale, lo scultore interviene con strumenti contemporanei con i quali erode il bordo ottuso e assorbente dell’ardesia. Una teoria di piccoli solchi scandisce gli spessori della pietra, sottolineando l’assolutezza e la purezza fine a se stessa della forma come un particolare di un grande arabesco. Forme circolari e simmetriche, chiuse in se stesse che però cercano una relazione con il mondo naturale. Sono un esempio le documentazioni fotografiche degli inserimenti delle sculture in scenari agresti e fluviali, pubblicate in questo catalogo. Il Disco, attraversato dall’acqua del torrente Grana, rivela i riflessi del cielo nelle nuvole rossastre che si scompongono sulle lamine d’acciaio. I grigi luminosi dell’acciaio e quelli plumbei dell’ardesia, oppure i bianchi satinati o levigati del marmo di Carrara e i rosa trasparenti d’onice dei Monili, chiariscono che il problema del colore è una questione di sontuosa vestizione della forma, di una pelle della scultura. Laddove vi sia il marrone dei tasselli in larice del Medaglione o il solito grigio dell’acciaio in Trottola, essi valgono per quel loro colore, anzi non-colore naturale: una brillante e opalescente persistenza di valori archetipali. Il monile, il giocattolo e i manufatti dell’uomo, oggetti di valenza quasi pop per le dimensioni ingigantite, si tramutano nelle manipolazioni dei materiali in archetipi d’assoluta atemporalità. I colori per Mondino sono il nesso significativo dove il simbolico probabilmente si confonde col tangibile.
Ivana Mulatero 2013
"Mario Mondino propone delle invenzioni tridimensionali in cui la sintassi della forma è il risultato di un incontro tra il rigore di fredde volute concave e convesse, di materiali lucidi e brillanti e la razionalità di tensioni generate dal vastissimo entroterra della fantasia. Forme che esprimono se stesse, ma anche l’emozione che hanno suscitato in chi le ha plasmate avvalendosi di liberi stimoli e intense sensazioni".
Rino Tacchella per la mostra collettiva PENTAMETER esperienze aniconiche dagli anni ’60 ad oggi. Palazzo Salmatoris Cherasco Maggio 2011.
"Con le sculture di Mario Mondino entriamo in una dimensione molto diversa, in un mondo poetico fatto di memorie personali e di echi di memorie culturali e mitiche che si concretizzano in sculture-oggetti di intenso e silenzioso impatto plastico. Sono sculture realizzate in acciaio o in legno, con una appassionata ed accurata cura tecnica e artigianale, dove i materiali danno un anima fisica alle forme e si trasformano in volumi senza forzature, all’insegna di un equilibrio e di un’armonia che aspirano a un’identità autonoma e “perfetta”. Mondino fa risalire la sua scelta di diventare artista e scultore alla figura, fondamentale nella sua mitologia personale, del padre fabbro che nella sua officina “plasmava quotidianamente la materia incandescente”, e alla scoperta da ragazzino “della plastica bellezza del vomere di un aratro che riluceva sotto il martello di mio padre”. Si tratta dunque della magica tensione plastica e essenziale di un oggetto di forte presenza, a prescindere della sua specifica funzione pratica, che diventa un prototipo di riferimento per la sua concezione della scultura. A partire da questi stimoli iniziali, Mondino ha sviluppato una ricerca che nel tempo si è sviluppata attraverso un interesse approfondito per le culture più lontane nello spazio e nel tempo, con una predilezione in particolare negli ultimi anni per forme e volumi in cui si sente l’eco di suggestioni orientali arabe e indiane, reinventate con grande libertà. Ed è cosi che sono nate grandi sculture come lucenti pendoli sospesi al soffitto, dei grandi “anelli” e delle “mazze ferrate”, con decori chiodati, di forma oblunga; dei dischi o delle “frecce” con scaglie di lamine metalliche, e degli oggetti tondeggianti in legno o ferro traforati con fitti intrecci decorativi traforati. La loro immobile presenza negli spazi espositivi ha qualcosa di metafisico".
Francesco Poli per la mostra collettiva PENTAMETER esperienze aniconiche dagli anni ’60 ad oggi. Palazzo Salmatoris Cherasco Maggio 2011.
“Mario Mondino, autore cuneese che predilige lavorare il metallo. E i materiali ch’egli adatta e piega a forme definite possono assumere la solennità di "reperti", quasi valori assoluti di un patrimonio iconico che si ripropone nella sua essenza, fuori dalla retorica, in virtù di una proiezione spazio-temporale che mantiene vivo il rapporto con l’ineffabile - e a tratti imperscrutabile – reversibilità del reale. Dalla preistoria all’età barocca, dall’immaginario mitologico a spunti di fantasie arabeggianti, è come evocato un continuo fluire di rimandi, una scansione narrativa che accresce la valenza semantica delle opere”.
Alessandro Abrate - Maggio 2010
"Intanto chiuso nel mio studio – racconta l’artista Mario Mondino – ho inseguito la forma come da bambino si insegue una preda, gioco tormento, passione. Come Aureliano Buendia, continuo a creare, fondere e ricreare gli stessi pesciolini d’oro in quel infinito gioco”, un incipit che palesa quel recupero di un vissuto fatto di laboriosa manualità ed ingegno, caratteristiche intrinseche della produzione di questo interessante scultore presente in mostra nei Saloni del Piano Nobile nell’ala settecentesca del Castello, in piazza Pio VII a Rocca de’ Baldi, la cui inaugurazione è prevista venerdì 30 aprile 2010 alle ore 17,30. L’esposizione organizzata dalla Provincia di Cuneo è composta da una quindicina di sculture realizzate con l’utilizzo di legni e metalli. Mario Mondino è originario di Morozzo, ed è lui l’autore del monumento ai Caduti di Morozzo, una scultura in marmo dalle fattezze di un grosso sasso tagliato a metà, rappresentazione del primo utensile dell’uomo preistorico. La maggior parte delle sue opere sono realizzate in acciaio inox. Mondino, ha studiato Scultura all’Accademia Albertina di Torino e dal 1972 al 2007 ha insegnato Discipline Plastiche al Liceo Artistico Ego Bianchi di Cuneo. Ha partecipato con successo a numerosi concorsi dal 1966, quando ha meritato la medaglia d’oro del Comune di Cuneo per un bozzetto sulla resistenza, le sue opere fanno parte di diverse collezioni in Italia e all’estero. Provincia Granda - Venerdì 30 aprile 2010 "Il lungo impegno professionale sfocia in una forma che si libera nello spazio, bilanciata fra Occidente e Oriente". Con questa motivazione, la giuria del concorso nazionale di scultura sul tema “Luoghi, personaggi e miti pavesiani”, ha decretato vincitore l’artista Mario Mondino di Cervasca, autore della scultura “Chopper 95”. Oggi, ore 15, alla casa natale dello scrittore Cesare Pavese, a Santo Stefano Belbo, appassionati d’arte, autorità, turisti e curiosi prenderanno parte alla cerimonia di premiazione della XIII edizione della manifestazione, promossa ogni anno da CEPAM (Centro Pavesiano - museo casa natale), Regione, Provincia, Fondazione Crc, Comune e Fondazione Cesare Pavese.
La Stampa - Manuela Arami - Domenica 25 ottobre 2009
Il Pendolo Siderale Un convergenza dialettica particolarmente intrigante si instaura nella chiesa di San Lorenzo tra la silenziosa linearità dell'edificio e la spiritualità che leggera trasuda dalle opere di Mario Mondino. L'allestimento si compone di una decina di sculture, che vivono in perfetta sintonia con questo luogo di antica memoria, in un coinvolgente ed armonico scambio tra forma e spazio. Il lavoro dello scultore entra infatti in simbiotica corrispondenza con l'ambiente, stabilendo una relazione di continuo rimando tra immagine plastica e rievocazione di un vissuto ancestrale, che nelle sembianze da sempre abita l'immaginario dell'uomo. Il modellato proposto da Mondino, ad una prima lettura, sembra presentarsi come un assunto aniconico di profili estremamente sinuosi e gradevoli di vocazione concettuale, ma ad una più attenta osservazione gli "oggetti" riportano echi di una lontana quotidianità, quando il manufatto nasceva dall'idea di attendere a specifiche necessità. Nella definizione plastica si raccolgono le sollecitazioni dettate dalle tante tracce che l'uomo ha lasciato lungo il proprio cammino, e ciascuna di queste diviene nella sua residuale vitalità depositaria di storia. Questo è il risultato di una ricerca plastica maturata all'insegna di una progressiva definizione di un sentire, i cui tratti costitutivi sono stati sempre dichiarati in ordine alle componenti tecnico-operative e stilistiche del processo formatore non meno che a quelle ideologiche e poetiche connesse ai materiali utilizzati, primi fra tutti legno e metalli. Le opere qui raccolte tendono a testimoniare la tendenza propria dell'autore alla proliferazione immaginativa e alla dilatazione delle forme, con attenzione alla disposizione morfologica della materia a cui risponde il rigoroso equilibrio compositivo. Percorrendo l'allestimento si percepisce come queste forme risuonino di evidenti richiami, e nel loro lievitare dei contorni assumano la solennità di "reperti", quali valori assoluti di un patrimonio iconico, che si ripropone nella sua essenza, fuori di retorica, in virtù di una proiezione spazio-temporale, mantenendo vivo il rapporto con l'ineffabile e a tratti imperscrutabile reversibilità del reale. La fruizione visiva risulta rafforzata dall'ascetismo del contesto ed in una sorta di palpabile estensione lirica si crea, nell'accezione della sintesi, un disciplinato condensarsi di spunti mnemonici, brandelli di passato, visioni che rapidamente rimbalzano su dettami iconografici di differenti epoche e culture: dalla preistoria all'età barocca, dall'immaginario mitologico a fantasie arabeggianti. Il continuo fluire di rimandi su cui si costruisce la scansione narrativa accresce la valenza semantica dell'opera e il tutto diviene emozione. È evidente che queste sculture nascono da un procedere lento, meditato, zen, in sincronica comunione con stati dell'essere; il misurato lavoro traspare da ogni curvatura, dalla gestione delle superfici ora perfettamente levigate ora costruite con il paziente assemblaggio di piccoli tasselli rettangolari o di rondelle e viti, che diventano «pelle» di un bozzolo, rivestimento di apparenze in possibile evoluzione. In un perenne flusso di memoria partecipiamo all'amplificazione di quei volumi propri di un vissuto fatto di laboriosa manualità ed ingegno, che si evince nella tarsia di abete e ciliegio della "Mandola" o nella puntuale sovrapposizione di lastrine di acciaio inox, che nella loro esplicita identità contemporanea, rendono i soggetti, di fisionomia antica, atemporali, proiettandoli grazie alla scelta materica in un'estensione immobile, futuribile, sospesa, situazione che si può riscontrare in opere quali "Pendolo" o "Rosetta". Un sentimento arcano aleggia da una forma all'altra, con grandi tondi che filtrano leggenda su superfici che ora si inarcano ora si ritraggono e nella proiezione della navata creano un gioco dì contrappunti silenti: è "La musa dormiente", aggomitolata su se stessa, il cui profilo replica alle animate sembianze della "Mazzaferrata", mentre "Moriscos" traluce di note mediorientali, nella modulazione equilibrata delle curve di una tessitura di reminescenze vegetali in acciaio dorato. Queste sculture sembrano sussurrare che la forma non è altro che l'assetto provvisorio e percepibile di un processo la cui verità è il divenire, la mutazione perenne di stato, la compresenza di necessità e di libertà.
Clizia Orlando, Luglio 2009 Presentazione della mostra “SCULTURE” Tigliole (AT)
Mario Mondino usa la scultura per restituire forma ad una memoria presente in modo fondante; la morbidezza delle linee riproduce conformazioni immaginifiche che, però, richiamano strutture formali familiari alla nostra visione storica dell’arte.
Massimo Sgroi Ellisse - Giugno 2008
“Le sculture di Mario Mondino sono parte del suolo terrestre, corpi che si muovono all’interno del mito, in un universo poetico e arcaico. Esse paiono dare forma alla primordiale energia dinamica della materia che si trasforma nel tempo. Lontane memorie di dialoghi e suoni che hanno accompagnato la vita dell’uomo”.
Ornella Calvetti - Luglio 2006 Presentazione della mostra ZooArt
“... la scultura di Mario Mondino, classica, elegante, razionale, dove predomina l’attesa. l’opera lavorata, tornita, modellata, costruita fin che vuoi è fondamentalmente ancora un monolito, sia che si erga sia quando giace, rivelando indeterminatezza, sospensione dubbio. L’interrogazione che si installa tra l’immagine e il suo senso, tra il corpo fisico e lo spazio. Insonnia, aspettativa, turbinio, potenza latente e inespressa, ancora mutante, capace di espandersi, di trasformarsi, linea serpentiforme o solido medusoidale, metafora barocca produttrice di transitività niciana, fonte di sogno e di desiderio. E’ una rappresentazione cui non basta più l’iconografia. A voler esagerare, per dirla con Hegel, ci fa accorgere «come in un lampo, d’un colpo, che guardiamo le forme in un modo nuovo»”.
Gianfranco Schialvino - Maggio 2006 Articolo apparso su Il Corriere del Monviso
I suoi oggetti ovoidi, oblunghi e lanceolati, geometricamente puri ed essenziali esaltano la bellezza impressa come da una mano trascendente in forme perfette di natura minerale e trascorsa in oggetti archetipi della cultura materiale dell'uomo.
Enrico Perotto
“Le sculture di Mario Mondino, come pendoli o giganteschi monili,... Che idea del tempo anno De Paris e Mondino? Ma anche del mondo e dei suoi
Nico Orengo - Torino 2005
E nello spazio aperto acquistano una propria dimensione espressiva ed evocativa le composizioni di Mario Mondino che, costituiscono un anello di congiunzione tra l’opera astratta e la proiezione della propria segreta identità verso inesplorate spazialità. Mondino lavora all’insegna di una scultura dalle linee essenziali, dalle forme geometriche, dalle superfici solcate da una luce radente che esalta il ritmo della struttura.
Angelo Mistrangelo - Torino, Febbraio 2004
Raffinatissimi lavori che si ottendono una scelta aristocratica che uniscono l’eleganza formale, la perizia tecnico esecutiva e il senso ludico del giocare con le forme per fare arte. Scegliere oggetti di uso comune o di affezione e dilatarli fino a farli diventare altro da ciò che erano in origine sembra un percorso dissacratorio che in realtà, a nostro avviso, nasconde una voglia di mistero favolistica che non va interpretato come tentativo di sfuggire alla realtà ma, piuttosto, come un richiamo a ritrovare la nostra più genuina ed immediata voglia di in-contrarsi, di sospendere per un attimo l’atroce lucidità razionale che caratterizza le nostre giornate.
Claudio Giorgetti - Firenze, maggio 2003
Mondino ha attraversato tre fasi sostanziali nella sua produzione oggettuale. Dapprima ha espresso un orientamento formale di derivazione post-cubista, costruendo immagini latamente figurative (paesaggi, fiori e uccelli fantasiosi) con un modellato geometrico astraente, teso ad una resa informale delle superfici, in cui si aggregano frammenti di materia metallica articolata in piani-volume frastagliati, sovrapposti ed aggettanti nello spazio. È stato poi autore nel 1967, di una serie di sculture-oggetto di inequivocabile intenzione poverista, composte di assemblaggi di forme metalliche prelevate dall’ambiente, ottenuti accostando tra loro, in modo ludico e fantasioso, elementi squadrati e rigidi ed elementi ondulati o freneticamente curvilinei, in cui si può riconoscere un richiamo agli aggregati metallici di Franco Garelli. Infine, tra il 1969 e 1970, è approdato ad una sorta di purificazione geometrica minimalista, che si è concretizzata nella definizione sia di sagome elementari di prismi di legno di diverse dimensioni, liberamente accostati in coppie e verniciati con colori primari, sia di elementi ovoidi dalle facciate levigate e regolari, particolarmente significativi nella concezione scultorea più attuale dell’artista, che li considera come forme di valore archetipico, segni contemporanei di una tecnica primordiale, originata dall’utensile preistorico denominato chopper ed evolutasi con l’affermazione del più raffinato bifacciale, dall’assoluta essenzialità, insieme funzionale ed estetica. È proprio a queste invenzioni oggettuali d’intrinseca purezza, oltre che alla primigenia semplicità geometrica della figurazione astraente di Brancusi, che Mondino rivolge lo sguardo per il suo fare scultura, in marmo e in altri materiali; le suggestioni ideative che ne riceve confluiscono nell’elaborazione di volumi tridimensionali rigorosi e simmetrici, dal profilo di foglie di lauro o di salice.
Enrico Perotto Presentazione della mostra “ Identità Contemporanee” Cuneo 1999
Ciottolo Tagliente
Quando l’”homo habilis” riuscì a rendere un ciottolo tagliente, asportandone alcune schegge mediante percussione, inventò il primo utensile.
Era una forma ancora rozza, scheggiata su una sola faccia (gli studiosi moderni la chiamano “chopper”), ma fu comunque una scoperta eccezionale, una tappa fondamentale nel cammino dell’evoluzione dell’uomo, in quanto rappresentò la nascita di una “tendenza tecnica”.
Il nostro progenitore infatti si differenziò davvero dagli altri animali solo nel momento in cui, con l’invenzione del primo utensile, poté sfruttare meglio le risorse del mondo (in specie tagliando e raschiando), ma soprattutto, espresse il suo desiderio di impadronirsi della natura e insieme mostrò la capacità di costruire i mezzi per intraprendere questa conquista.
Fu quindi la nascita dell’evoluzione tecnico-scientifica.
Nella fabbricazione degli utensili poi, l’uomo non si accontentò della forma grezza dei primi “chopper”, ma attraverso una lavorazione sempre più abile della pietra, finalizzata ad ottenere strumenti dalle migliori qualità tecniche, giunse alla creazione di un ciottolo scheggiato da entrambi i lati, ovoidale, regolare, simmetrico: il bifacciale. Ecco nuovamente un evento straordinario: l’attenzione nuova per la forma, una prima intenzione estetica, in qualche modo la prima scultura.
Ora, proprio la bifrontalità, la simmetria, il fascino primario del bifacciale sono gli argomenti che interessano e che va cercando, nel fare scultura Mario Mondino. Nell’età post-moderna, nell’epoca della tecnologia avanzata, evoca con le sue forme i manufatti dell’uomo primitivo per riscoprire il valore autentico, filosofico e semantico della scultura, del bello, dell’arte.
Elena Mondino 1999